Dopo aver attraversato foreste, dato da mangiare ad un orangotango di nome Richie nel Borneo Malese, aver girato per città, visitato templi colorati e lasciato offerte a divinità di religioni diverse, imparato ad accendere il fuoco dal bimbo di una tribù, ci sentivamo pronti al Paradiso.
Il Paradiso si chiama Perhentian Island, una piccola isola circondata da un mare tropicale caldissimo che ospita pesci di tutti i colori, squali e tartarughe. Ma è pura illusione arrivarci senza passare per Kuala Besut, piccolo villaggio sulla costa, abituato a vedere i turisti solo di passaggio prima di imbarcarsi verso il Paradiso.
Pochi sono però i temerari viaggiatori che per una serie di coincidenze sbagliate a Kuala Besut deve rimanerci per una notte. E' quello che è successo a noi mentre con i nostri zaini sulle spalle, stremati da un caldo soffocante, guardavamo imbarcare gli altri turisti, quelli che il viaggio lo avevano preso pacchetto completo.
Eravamo appena arrivati dal Taman Negara, una delle foreste pluviali più antiche al mondo e non avevamo altra scelta che trovare un posto per dormire.
Ci consigliano un piccolo ostello che dicono essere la migliore sistemazione del posto. Dopo averne visitato un altro decadente, senza servizi e lontano dal rispetto da qualsiasi norma igienica, capiamo cosa intendessero per “migliore". Prendiamo una stanza “deluxe” a 10€ per una notte. La stanza è cosparsa di macchie scure su cui non vogliamo interrogarci, ce ne sono ovunque dalla spalliera del letto in stoffa alla moquette blu che ricopre i mobili. Il rubinetto del lavandino in bagno spruzza ovunque con un getto lunghissimo utilizzabile anche per un originale bidet! Nonostante la stanza sia davvero spartana, non mancano la freccia sul soffitto che indica la Mecca e il tappeto per la preghiera del venerdì. Apro la finestra per far entrare un po’ d’aria pulita, nonostante il caldo umido, e e mi incanto alla vista del molo e del mare. Per un attimo mi dimentico dove dormirò!
Ci avventuriamo nella calura pomeridiana passeggiando sulla spiaggia deserta dove si accalcano baracche in legno. Il mare non ha un colore invitante. Lo osservo un po’ delusa accovacciata su uno scoglio in granito.
Mentre il sole tramonta si diffonde nell’aria il richiamo alla preghiera e il mercato del Ramadan si affolla per la tanto attesa cena. Ci allontaniamo dal mercato e attraversiamo le baracche in legno e le palme mentre i bimbi del posto ci scorrazzano intorno con le loro bici, impennando per attirare l’attenzione. Intravediamo nelle baracche famiglie che cenano sedute per terra usando fogli di giornale come tovaglia. I bambini ci osservano curiosi dalle finestre, riesco a strappare tanti sorrisi, ma nessuna foto. Torniamo sul lungomare e ci sediamo in un ristorante all’aperto a ridosso della spiaggia. Non ci sono turisti qui. E’ un posto molto semplice con tavoli in legno. Accanto a noi una famiglia del posto gusta lumachine di mare ed enormi frullati di frutta.
I camerieri ci capiscono a stento ma la loro premura nei nostri confronti è commovente. Ci lasciano scegliere il pesce indicandolo direttamente sul banco e nonostante numerosi tentativi di ottenere una leggerissima cottura alla griglia, siamo costretti a rassegnarci ad una cucina ipercondita. Il pesce, enorme, fa bella mostra di sé su una pirofila nascosto sotto una cascata di verdure e di salse.

Non indicherei Kuala Besut come tappa nella costruzione di un viaggio malese, ma alla fine della serata mentre gustavo la cena nel silenzio di una calda notte d'estate e sotto lo sguardo trepidante di un gattone spelacchiato, ero grata di questa sosta non voluta fuori da qualsiasi percorso turistico.
Gli imprevisti del resto non sono altro che il sale che rende più gustoso un viaggio fai da te.